sabato 23 luglio 2011

Questa volta non ci sono troppi indizi?


Cronometriche esplosioni, tritolo minuziosamente sistemato.

Il ragazzo della foto qui sopra è il presunto attentatore, arrestato nelle ultime ore, pare abbia confessato.

Indossa la classica tunica della Massoneria, i dati della polizia lo annoverano tra gli appartententi di una loggia massonica.
Il Killer non ha la barba lunga ed il turbante. E' biondo, è norvegese ed ha l'account su Twitter.
A fronte dell'attuale disinformazione che scarica le colpe sulla follia singola di un individuo, cerchiamo, a sangue freddo, di analizzare la politca norveggese degli ultimi anni

La Norvegia aveva assunto una politica filopalestinese dichiarando di votare, a settembre, a favore della costruzione di uno stato palestinese in ambito ONU. 

I proventi del petrolio norvegese sono introitati direttamente dallo Stato Norvegese e non dalle compagnie petrolifere private e che lo scorso anno la Norvegia aveva escluso due aziende israeliane dallo sfruttamento di pozzi petroliferi del Mare del Nord. 

Il Paese Nordico sta per ritirare le sue truppe dalla guerra in Libia. 

Dal 2002 la Commissione Europea aveva accusato la Norvegia di non adottare una legislazione bancaria compatibile con quello dell'Unione Monetaria Europea.Infatti, la Banca Centrale Norvegese é in mano pubblica mentre la Banca centrale Europea é una SPA privata partecipata dalle Banche Centrali nazionali a loro volta private. 

In Norvegia il guadagno da signoraggio non é gestito dai banchieri privati ma redistribuito ai norvegesi... 

Uno più uno non farà mica due?


Evitiamo facili sentenze ma questa volta non ci sono troppi indizi?

martedì 19 luglio 2011

La bellezza del fresco profumo della libertà


Nutriamo la voglia di Lealtà, che vuol dire non mentirsi, essere veri uomini d'onore prima con se stessi e poi di fronte agli altri.
Nutriamo l'amore per il coraggio, che significa ammazzare la paura con il cuore gonfio e pulsante d'amore.
Nutriamo la rettitudine e la correttezza, che ci ricordano che siamo uomini e non parole, legati indissolubilmente a questa terra e al cielo che la illumina.
Nutriamo il ricordo, con la nostra azione quotidiana.
Anche per te, Paolo.


Un inchino all'iniziativa


Si chiama ''La moschea di Gesu' Cristo'', e' situata nella citta' di Madaba, a sud della capitale giordana Amman, ed e' la prima nel mondo musulmano contemporaneo a portare questo nome, che nell'Islam si identifica con uno dei piu' importanti profeti. L'idea e' venuta Jamal Al Sufrati, imam della stessa moschea. ''Ho notato che il mondo arabo e' pieno di moschee che portano i nomi dei profeti tranne quello di Gesu'. La moschea vuole portare un messaggio di convivenza e tolleranza". 
(ANSA) 

domenica 17 luglio 2011

La furia cinese


PECHINO - Per la seconda volta nel giro di una settimana il governo di Pechino ha alzato la voce con gli Stati Uniti. Toni che la Casa Bianca probabilmente non ricordava dai tempi della Guerra Fredda. E argomenti che - per ora - hanno lasciato afoni i portavoce americani. Prima la questione dei mille miliardi di dollari in buoni del tesoro Usa nei forzieri del Celeste impero, in pericolo di default («Invitiamo caldamente a considerare gli interessi dei risparmiatori», era stata in sostanza l'ingiunzione impossibile da ignorare). Poi, storia di ieri, il comunicato durissimo con cui Hong Lei, portavoce del ministero degli Esteri della Repubblica Popolare, ha chiesto a Barack Obama di cancellare «immediatamente» l'invito rivolto al Dalai Lama, una mezz'ora di «incontro privato» nella Map Room (e non nella Studio Ovale, riservato ai capi di Stato) definita a fine giornata «un passo che ha danneggiato le relazioni sino-americane».

L'imbarazzo americano è stato celato a fatica. Intanto l'appuntamento - fatto inconsueto - è stato annunciato solo poche ore prima: «Quest'incontro sottolinea il deciso sostegno del presidente alla conservazione dell'originale identità religiosa, culturale e linguistica e alla protezione dei diritti umani nel Tibet». Quindi, di fronte alla reazione, è stato scelto il silenzio. Pechino, forse colta di sorpresa, è infatti andata su tutte le furie. Il portavoce ha ribadito, come d'abitudine, che la Cina «si oppone fermamente a qualsiasi incontro di esponenti dei governi stranieri con il Dalai Lama, in qualsiasi veste». Hong Lei ha quindi chiesto agli Usa di «annullare immediatamente la decisione del presidente Obama di ricevere il Dalai Lama» invitando Washington «a non fare nulla che possa interferire negli affari interni cinesi e danneggiare le relazioni tra Cina e Stati Uniti».

Barack Obama incurante degli avvertimenti (ma aveva altra scelta il capo della prima potenza mondiale?), ha visto il capo spirituale dei tibetani alle 11 e 30 (le 17 e 30 in Italia): uscendo, il Dalai Lama ha affermato che il presidente Usa ha espresso «sincera inquietudine per il rispetto dei diritti umani» in Tibet. Per ridurre al minimo l'eco dell'evento, la stampa è stata tenuta lontana: nel febbraio 2010, in occasione del primo incontro tra il presidente e l'uomo «più odiato» dal governo cinese, la pressione di Pechino era stata tale che Tenzin Gyatso aveva lasciato la Casa Bianca da un'uscita secondaria, passando accanto ai sacchi di immondizia delle cucine. Quella visita era stata voluta soprattutto per tacitare il Congresso, tradizionalmente vicino alla causa del leader in esilio in India dal 1959, tanto che Obama era stato duramente criticato per non averlo ricevuto - nel 2009 - in occasione di una delle sue frequenti visite a Washington.

Ora, è probabile che le minacce di possibili ritorsioni o comunque di una crisi nei rapporti tra Cina e Stati Uniti - a parte qualche probabile azione dimostrativa - non avranno seguito. Come è noto, Pechino è la più grande creditrice degli Stati Uniti, con oltre mille miliardi di titoli nei suoi caveau. Così, come non ha alcun interesse di vedere il dollaro svalutarsi, la Repubblica Popolare non può nemmeno permettersi un qualche tipo di «guerra fredda» con Washington, visti gli interessi (finanziari) in gioco. Barack Obama, per contro, è obbligato per ragioni di politica interna a ricevere il Dalai Lama (per quanto in ritardo: il leader spirituale tibetano era a Washington dal 6 luglio e proprio nella capitale Usa ha festeggiato il suo 76esimo compleanno). Ma se compiacere il Congresso - sollecitato ad approvare entro il 2 agosto un piano di rientro dal deficit e di contenimento del debito - può portare frutti, irritare la Cina oltre il necessario rischia di costare troppo.

domenica 3 luglio 2011

Diamo un segnale Forte a Boccea


Finalmente il Forte Boccea sarà smilitarizzato e potrà essere destinato ai servizi di cui il quartiere ha bisogno: un mercato moderno, spazi verdi, parcheggi, asili nido, locali per l'assistenza sociale e alcune delle associazioni che operano sul territorio.

Purtroppo però, tra tutti quelli che saranno gli utenti presi in considerazione nei futuri interventi, nessuno ha pensato ai giovani del nostro quartiere.

Se non vogliamo che il nostro quartiere sia sempre più riservato ai vecchi, è indispensabile fare di tutto per avere la nostra Comunità Giovanile.

- Spazi di aggregazione
- Campi Sportivi
- Formazione Lavorativa
- Assistenza

Gli individui non esistono fuori dalle loro comunità


La crisi del modello rappresentato dallo Stato nazionale rigenera l’idea di comunità, che assume nuove forme e significati. Le comunità non associano più le persone solo per l’origine comune e le caratteristiche dei componenti: nel moltiplicarsi di tribù, flussi e reti, esse ormai raggruppano tipi diversissimi. Imponendosi come possibile forma di superamento della modernità, le comunità perdono lo status «arcaico», a lungo attribuito loro dalla sociologia. Più che stadio della storia, abolito dalla modernità, appaiono come forma permanente dell’umano associarsi.

In tale quadro figura la comparsa e lo sviluppo nel Nord America, dagli anni Ottanta, d’una corrente di pensiero che oltre Atlantico ha provocato innumerevoli dibattiti, ma che l’Europa ha scoperto più di recente: il «movimento» comunitario, costellazione rappresentata dai filosofi Alasdair MacIntyre, Michael Sandel e Charles Taylor.

Il movimento comunitario enuncia una teoria che combina strettamente filosofia morale e filosofia politica. Sebbene abbia una portata più vasta, la teoria è stata elaborata, da un lato, in riferimento alla situazione degli Stati Uniti, con l’inflazione della «politica dei diritti», la disgregazione delle strutture sociali, la crisi dello Stato-Provvidenza e l’emergere della problematica «multiculturalista»; dall’altro, in reazione alla teoria politica liberale, riformulata da Ronald Dworkin, Bruce Ackerman e soprattutto John Rawls. Quest’ultima si presenta come una teoria dei diritti (soggettivi), fondata su un’antropologia individualista. Nell’ottica dell’«individualismo possessivo» (Macpherson), ogni individuo è agente morale autonomo, «padrone assoluto delle sue capacità», alle quali ricorre per soddisfare i desideri espressi o rivelati dalle sue scelte. L’ipotesi liberale dunque prevede un individuo separato, un tutto completo a sé stante, che cerca d’accrescere i vantaggi con libere scelte, volontarie e razionali, senza che esse siano considerate frutto di influenze, esperienze, contingenze e norme del contesto sociale e culturale.

Invece il punto di partenza dei comunitari è anzitutto d’ordine sociologico ed empirico: constata la dissoluzione dei legami sociali, lo sradicamento delle identità collettive, la crescita degli egoismi. Sono gli effetti d’una filosofia politica che provoca l’atomizzazione sociale, legittimando la ricerca da parte di ognuno del maggior interesse, restando così insensibile ai concetti d’appartenenza, di bene comune e di valori condivisi.

Il maggior rimprovero dei comunitari all’individualismo liberale è di dissolvere le comunità, elemento fondamentale e insostituibile dell’esistenza umana. Il liberalismo svaluta la vita politica, considerando l’associazione politica un puro bene strumentale, senza vedere che la partecipazione dei cittadini alla comunità politica è un bene intrinseco; perciò non può rendere conto d’un certo numero d’obblighi e impegni, come quelli non risultanti da scelta volontaria o impegno contrattuale, come i doveri familiari, l’obbligo di servire la patria e d’anteporre l’interesse comune a quello personale. Il liberalismo propaga una concezione erronea dell’io, non ammettendo che esso rientri sempre in un contesto socio-storico e, almeno in parte, che sia costituito da valori e impegni non sottoposti a scelta e non revocabili a piacere. Suscita un’inflazione della politica dei diritti, che poco ha a che fare col diritto in quanto tale, e un nuovo tipo di sistema istituzionale, la «repubblica procedurale». Infine, col suo formalismo giuridico, misconosce il ruolo centrale di lingua, cultura, costumi, pratiche e valori condivisi, come basi d’una vera «politica di riconoscimento» di identità e diritti collettivi.

La teoria comunitaria si pone dunque in una prospettiva «olistica». L’individualismo liberale definisce il singolo come ciò che resta del soggetto, una volta privato di caratteristiche personali, culturali, sociali e storiche, cioè estratto alla comunità. D’altronde postula l’autosufficienza del singolo rispetto alla società e sostiene che egli persegue il maggiore interesse con scelte libere e razionali, senza che il contesto socio-storico influisca sulla sua capacità d’esercitare i «poteri morali», cioè di scegliere una particolare concezione di vita. Per i comunitari, invece, un’idea presociale dell’io è impensabile: l’individuo trova la società preesistente ed essa ne ordina i punti di riferimento, ne costituisce il modo di stare al mondo e ne modella le ambizioni.

Per i comunitari, l’uomo è anzitutto «animale politico e sociale» (Aristotele). Così i diritti sono espressione di valori propri di collettività o gruppi differenziati, ma riflesso d’una teoria più generale dell’azione morale o della virtù. La giustizia si confonde con l’adozione d’un tipo d’esistenza secondo i concetti di solidarietà, reciprocità e bene comune. Quanto alla «neutralità» di cui s’ammanta lo Stato liberale, è vista sia come disastrosa nelle conseguenze, sia – più generalmente – come illusoria, perché rimanda implicitamente a una singolare concezione del bene, che non si confessa tale. Una vera comunità non è l’unione o la somma degli individui. I suoi membri, in quanto tali, hanno fini comuni, legati a valori o esperienze, non solo interessi privati più o meno congrui. Questi fini sono tipici della comunità, non sono obiettivi particolari uguali per tutti o per la maggioranza dei membri. In una semplice associazione, gli individui guardano i loro interessi come indipendenti e potenzialmente divergenti. I rapporti fra questi interessi non sono dunque un bene in sé, ma solo un mezzo per ottenere i beni particolari cercati da ciascuno. Mentre la comunità, per chi vi appartiene, è un bene in sé.
 
Alain De Benoist

(Traduzione di Maurizio Cabona)