lunedì 21 marzo 2011

E se bombardassimo la Cina?


Roma, 20 mar. (Adnkronos) - "Bocchino e' peggio della sinistra, in politica estera anche l'Uganda tiene una posizione compatta e responsabile, mentre Fli, Pd e Idv hanno recentemente speculato sugli accordi bilaterali fatti dall'Italia con la Libia e la Russia a beneficio della nostra comunita', con vantaggi commerciali, energetici, economici e per il controllo dei flussi migratori". Lo dichiara Fabio Rampelli (Pdl), che aggiunge: " L'antiberlusconismo ha invece obnubiliato la mente di questi statisti, diventati strumenti nelle mani di potenze straniere risentite per il protagonismo italiano". "Oggi -prosegue il deputato- fa piacere constatare che i diritti democratici delle popolazioni civili valgono un intervento militare, ma piacerebbe sapere perche' non valgono altrettanti diritti di altrettante popolazioni soggiogate da tiranni, sceicchi, rais, dittatori militari e comunisti. La sensazione e' che, grazie anche all'importante contributo dell'opposizione italiana, qualcuno non abbia potuto tollerare la nuova centralita' acquisita e abbia forzato la mano non gia' per liberare un paese da uno dei tanti dittatori che ci sono sul pianeta, ma per rimettere in discussione un rapporto che l'Italia aveva consolidato grazie anche al grande ingegno di Berlusconi". "Ma certo -aggiunge- gridando al carnefice con il 'libro verde' e mettendo le cose sul piano dei cittadini oppressi, l'Italia non aveva grandi scelte. Ora a Sarkozy non resta altro da fare che dichiarare guerra alla Cina, guidata da carnefici con il "libro rosso" dove, notoriamente, ci sono milioni di persone condannate a morte o costrette nei Laogai, 'gradevoli' campi di lavoro forzato". (Pol/Gs/Adnkronos) 20-MAR-11 16:15 NNNN  

Sulle Bombe nostre


Sbaglierò ma questa guerra al­la Libia non mi piace. Non mi sen­to di condannare le perplessità del­la Lega ma anche la prudenza ini­ziale di Obama e della Merkel. Al­tro che irresponsabili, come dice Casini e poi la sinistra in versione guerresca. Capisco la necessità di allinearsi alle Nazioni Unite, agli al­leati, ai francesi e ai gruppi di pres­sione internazionale, ma temo che l’attacco militare sia un errore di cui pagheremo le conseguenze. Non so come fanno a colpire Ghed­dafi senza colpire l­e popolazioni ci­vili al cui soccorso diciamo di anda­re. Non so se i danni che cerchia­mo d­i evitare con l’attacco aereo sa­ranno superiori a quelli che andia­mo a procurare ai libici e a noi stessi.

Non so se dopo Gheddafi verrà fuori una Libia somalizzata e non so se tra i ribelli prevarranno gli amanti della libertà o del fanatismo islamico. Non so come la prenderà il mondo arabo con le sue frange più estreme; temo che la leggeranno come un’ingerenza e un’arroganza israeliano-occidentale e reagiranno di conseguenza. Fa pensare la neutralità della Russia, non sappiamo cosa faranno l’Iran e la Cina. Non so come finirà per noi col petrolio, il gas e le torme d i immigrati e non so se riprenderà vigore il terrorismo. Temo un altro Irak, se non un altro Afghanistan. E ancora. Non so perché le repressioni sanguinose in Libia debbano far scattare l’attacco e quelle nello Yemen o in Siria no, per dire solo dei Paesi più vicini. Non so se il movente principale dell’attacco sia davvero la tutela dei diritti umani violati o alcun i interessi politico-elettorali interni più interessi d’affari. Realisticamente penso ambedue.

Non so, infine, se per noi italiani che siamo così vicini alla Libia sia un bene entrare in una guerra nel condominio mediterraneo. Intendiamoci. Detesto Gheddafi e - pazziando mi piacerebbe che il sarcofago di cemento progettato per blindare la centrale nucleare giapponese servisse per chiuderci dentro il bunker di Gheddafi, colonnello incluso. Se un mimo volesse simulare un Dittatore cattivo, le sue smorfie, la sua bocca che tende al disprezzo e al disgusto, il suo aspetto tipico e la sua risata satanica, non riuscirebb e a far meglio di lui. Gheddafi non è solo un tiranno, ma recita convinto quella parte. Detesto Gheddafi da quando conquistò il poter e con il golpe, spodestò un sovrano di buon senso e cacciò gli italiani, derubandoli del frutto del loro lavoro che aveva giovato anche alla Libia. 

Contestai da ragazzo l’Italia di Moro e di Andreotti, che fu per anni il suo cammello di Troia; l’Italietta che non reagiva alle minacce, le offese e le azioni del colonnello ma trescava con lui. Mi vergognavo di quell’Italia che con la scusa del complesso coloniale, si inginocchiava al cospetto di questo pagliaccio. Perfino la Fiat finì in ginocchio da lui e Patty Pravo cantò Tripoli ’69 . Ho detestato nel tempo Gheddafi per le sue spacconate, i missili a Lampedusa, le sue fabbriche di armi chimiche, i suoi aiuti al terrorismo. Voleva papparsi la Sicilia e le Isole Tremiti. Per fortuna, ha mezzi scassati e missili low cost, ed è solo un guappo ’e cartone ; ma se avesse potuto, avrebbe invaso l’Italia, devastato l’America e distrutto Israele. Non condivisi però le bombe di Reagan che colpirono la Libia ma lasciarono in piedi il dittatore. 


Ho il triste privilegio d i averle viste dal vivo quelle bombe, mentre volavo su quella rotta una sera di aprile dell’ 86: si vedevano i bagliori all’orizzonte. Non condivis i poi i salamelecchi d i Prodi a Gheddafi, che come lui stesso dice, lo sdoganò in Europa, e gli elogi d i D’Alema al Colonnello. Per la stessa ragione, pur condividendo le nostre ragioni - petrolio, sicurezza e immigrati - mi irritò l’amicizia di Berlusconi con Gheddafi, il suo baciamani e la visita a Roma, con le foto antitaliane attaccate sul petto, le amazzoni, il carosello e la tenda, come un circo Orfei diventato Stato. Certo, Gheddafi nel frattempo era diventato collaborativo con l’Occidente e utile per noi. Del colonialismo Gheddafi ha ereditato i lati peggiori: la prepotenza, gli stivaloni, il militarismo, i bombardamenti sui civili, perfino il gas nervino. Criticò il Ventennio nero m a lui lo ha raddoppiato, è dittatore da oltre un Quarantennio. 

Avrei auspicato che il Colonnello fosse finalmente promosso Generale e andasse in pensione col massimo. Ora la strada intrapresa dall’Occidente non mi sembra la migliore, se il tiranno non sarà piegato in un lampo. Forse sarebbe stato meglio accettare la sua proposta di mandare emissari dell’Onu per controllare il rispetto degli oppositori e l’avvio delle riform e d i libertà promesse, negoziare e garantire i ribelli e le zone insorte, senza arrivare alle bombe. E solo davanti alla provata impossibilità di garantire tutto questo, decidersi all’azione di guerra. Ancor più dell’intervento militare, mi preoccupa il suo uso. Queste azioni o si fanno subito, si portano fino in fondo e si ripetono in altre situazioni analoghe, fino a stabilire il principio che si interviene sempre, laddove la vita dei popoli è messa in pericolo, o è meglio evitarle. Comunque se l’Italia interviene, a torto o a ragione, sto col mio Paese. 



di Marcello Veneziani

Il Diritto tra Tecnica ed Etica

venerdì 18 marzo 2011

Racconti di una stupenda mattinata



Nonostante le condizioni atmosferiche decisamente poco favorevoli, il gigantesco tricolore umano della Giovane Italia ha spavaldamente invaso, ieri, tutta via dei Fori Imperiali. Tra bandiere, musica e (soprattutto) tanti ombrelli, migliaia di giovani hanno partecipato al corteo, guidato dal presidente nazionale Giorgia Meloni, sfilando tra due dei più significativo monumenti della capitale: il Colosseo e l'Altare della Patria. Un grande telo tricolore ha aperto la strada ad una processione di ombrelli che, noncuranti del vento e della pioggia, marciavano ordinatamente in file bianche, rosse e verdi. Alcuni passanti si sono uniti strada facendo, molti turisti osservavano tra l'interessato ed il divertito, senza perdere l'occasione per scattare qualche foto. Certo, non è cosa comune vedere un corteo colorato, più che dalle bandiere e dalle solite magliette, da ombrelli.
La manifestazione si è conclusa con le parole del Presidente nazionale, nonnchè Ministro della Gioventù, Giorgia Meloni, che tanto si è battuta affinchè questa ricorrenza non fosse considerata una "festa di serie b", ma al contrario, una delle più importanti e condivise celebrazioni della nazione, proprio perchè "il 17 marzo è la data più unificante che abbiamo". "Quando si parla di Risorgimento e di Unità d'Italia, mi piace sempre ricordare, con commozione, come la nascita della nostra Nazione sia strettamente legata ad una generazione di ragazzi di vent’anni o anche meno che, armata di nuovi sogni e vecchi fucili, gettò se stessa contro le baionette di un esercito straniero infinitamente più grande e potente, senza paura. E morì, come Goffredo Mameli e tanti altri. Nella speranza che le successive generazioni non avrebbero lasciato cadere il testimone insanguinato dell’unità fra gli italiani".

Avanti tutta!

Mai Stanchi!

domenica 13 marzo 2011

La città di D'annunzio


Uno dei luoghi misteriosi e fantastici d'Italia. Complesso e affascinante come colui che ci abitò agli inizi del secolo, il Vittoriale offre Una nave incastonata tra le montagne, un mappamondo, un vestiario, centinaia e centinaia di libri accatastati,  il maestoso anfiteatro con la naturale scenografia del Lago di Garda. Vi invitiamo a visitare il portale web, un ottimo biglietto da visita per il gioiello che risiede nella Provincia Bresciana. www.vittoriale.it

giovedì 10 marzo 2011

Su Massimo...



La storia di Massimo la conosco in molti, tanti ma troppo pochi. 
Una storia che viaggia sulle note e sulle parole. 
E' una di quelle favole che si possono raccontare solo con una canzone, è un disegno di cui ti rimangono impressi  i colori, una statua di cui ricordi le impressioni e la delicatezza del marmo con cui è stata costruita.
Ed è strano parlare con emozione di una persona che non s'è mai conosciuta, ma per Massimo è differente, è come se lo avessimo conosciuto tutti, e così con presunzione approfondire o meno le vicende della sua vita diventa una questione marginale. Attraverso le sue poesie è riuscito a lasciare molto di più di quanto si sarebbe potuto fare con degli articoli di giornale, con un libro, con un film, con un manifesto. Ci ha consegnato con estrema umiltà parole che fanno vibrare i cuori raccontando un pezzo d'Italia dimenticato, ha innalzato gli animi di coloro che si stavano per arrende ed ha riscattato sentimentalmente coloro che si sentivano ormai sconfitti.
Massimo è una storia da cantare, è un fischiettio che manteniamo nel cuore in una giornata uggiosa, è un calcio alla vita "come fosse un somaro che non vuol camminare", un sorriso al nostro sogno, la conferma della purezza delle nostre volontà e delle passioni che ci spingono a donarci con forza e continuità. Rinchiudere il suo nome sotto il cappello di una sola comunità politica sarebbe contrastare il senso della vita di Massimo, consegnata a noi perchè la cantassimo al futuro!


lunedì 7 marzo 2011

Difendiamo l'Ostello della Gioventù !


“L’approvazione dell’ordine del giorno bipartisan in Comune sull’ostello della Gioventù dimostra la volontà, già espressa alcune settimane fa dalla Commissione Turismo della Regione Lazio, di voler offrire una soluzione alternativa alla chiusura della struttura, vista e considerata l’importanza che essa assume per il miglioramento morale e culturale della gioventù, attraverso la pratica del turismo.

La struttura faceva parte del circuito della Federazione Internazionale degli Ostelli della Gioventù, e una città come Roma, ricca di cultura e storia, non può privarsi di un complesso così eccellente.

Esprimo il mio personale plauso per l’approvazione di questo ordine del giorno e sono certa che per l’individuazione della sede alternativa si potrà pianificare un proficuo percorso di collaborazione tra il Comune di Roma e la Regione Lazio.”

Dichiara Chiara Colosimo, consigliere regionale e presidente della Giovane Italia Lazio.

sabato 5 marzo 2011

Liberi Liberi siamo noi...



Ormai è saputo e risaputo che il 2011 è l’anno del cento cinquantenario dell’Unità d’Italia.
Le celebrazioni che si stanno organizzando in tutta la nazione, in ogni regione, città o paese sono innumerevoli e tutte volte ad affermare fortemente il senso di Patria che negli ultimi anni sembra aver abbandonato le coscienze di molti nostri connazionali.
Una data ha, comunque, scatenato molte polemiche ovvero quella del 17 marzo, giorno in cui cadono precisamente i centocinquant’anni della nascita dell’Italia come Nazione, ovvero quando il Re Vittorio Emanuele II proclamò l’Unità della nostra Patria.
Dopo molte diatribe e discussioni varie si è deciso che il 17 marzo dovesse essere festa nazionale e quindi giorno festivo.
Fra coloro che hanno voluto fortemente questa festività spicca il nome del Ministro della gioventù Giorgia Meloni, che ha sempre creduto nei valori della Patria e dell’Unità nazionale.
Molto critici, invece, sono stati i rappresentanti della Lega Nord ed anche il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia.
Fanno discutere le posizioni di molti politici leghisti, il ministro Umberto Bossi ha deciso di astenersi dalla votazione per decretare la festa nazionale, invece ha fatto molto parlare la dichiarazione del ministro Roberto Calderoli che, dopo aver saputo la decisione del consiglio dei ministri, ha affermato: “ il decreto è pura follia, ed è anticostituzionale”.
È pura follia che un giorno così importante per la nostra giovane nazione sia festeggiato, è incostituzionale che il 17 marzo, che è una ricorrenza veramente importante per chiunque si senta veramente italiano, venga celebrato nella maniera più degna possibile?
La cosa più spiacevole è che certe parole le pronunci un Ministro della Repubblica, alla fine nessuno lo obbliga a festeggiare l’Unità di quell’Italia che forse lui e tanti altri esponenti del suo partito non amano e non ritengono propria.
Io, con il mio modesto parere personale, proporrei che il 17 marzo non sia festa nazionale solo in questo 2011, ma lo sia per sempre perché solo così si può rafforzare il nostro sentimento patriottico, e soprattutto questa festa a differenze di altre che sono fortemente politicizzate e sembrano solo riservate ad alcuni rispetto che ad altri.
Sarebbe l’ora che tutti avessimo più rispetto per la nostra Nazione, e il giorno dell’unità, come ha detto Giorgia Meloni, “non può essere considerato una festività di serie B”. “Siamo in un momento di crisi economica – ha dichiarato il Ministro – e comprendo le difficoltà, ma una nazione non è solo fatta di interessi economici”. Chi ama l’Italia ed è orgoglioso di essere italiano il 17 marzo dovrebbe festeggiare, senza se e senza  ma.

martedì 1 marzo 2011

Con leggerezza...


Sandro Bondi si taglia con un grissi­no. È tenero e liscio come un tonno, non sopporta gli urti, è fragile e forse te­me pure l'umidità. Facile al pianto, più facile alla poesia, non fa parte né dei fal­chi né delle colombe berlusconiane ma degli usignoli. Sibila lodi in onore del Santo Cavaliere, dedica liriche e diti­rambi al suo Mito, e nei rapporti umani ha una naturale, affabile cortesia che lo rende sempre ossequioso. Sono convin­to che quando va l'usciere nella sua stan­za di ministro lui si alza e gli cede il po­sto: si accomodi, ma la prego. È gentile e non regge la vista della violenza. Quan­do incontra un avversario politico o un giornalista lo implora con gli occhi: ti prego non farmi del male, non sopporto il dolore fisico, etico e intellettuale. Non so come abbia potuto essere comuni­sta, forse un tempo era ispido e feroce; poi diventò implume e quando perse i capelli, come Sansone perse l'aggressi­vità e si convertì in un vitello da latte. Potete immaginare come abbia sofferto nei giorni in cui lo hanno accusato ingiu­stamente dei crolli di Pompei, lui che non ha mai rotto una tazzina di caffè a casa di nessuno, o l'ha riattaccata col bo­stik quando non lo vedeva nessuno. An­che se in Parlamento hanno bocciato la mozione di sfiducia contro di lui, Bondi è rimasto ferito e non riesce ad andare al suo ministero. E implora il suo Maestro e Signore di lasciarlo a casa, con la sua morosa, per frequentare la politica da privatista. Io non ho un gran giudizio di lui - però non riferiteglielo perché poi ne soffre - come ministro dei Beni cultu­rali, come politico e come poeta. M a tro­vo questa sua ipersensibilità, questa sua voglia di dimettersi, così insolita e così nobile da meritare un pubblico elo­gio. E trovo che la sua dichiarata voglia di sparire sia più poetica e commovente dei suoi versi. Su, mandatelo a casa, non vedete che la creatura soffre? Magari è l'occasione per prendere sul serio i Beni culturali... Ti vogliamo bene, Bondi, con quell'aria da Max Cipollino pian­gente, non ti faremmo mai del male, ne­anche un pizzicotto sulle glabre guan­ce; ti terremo lontani i cattivi. Trottolino amoroso dududù dadadà.

Di Marcello Veneziani

Non siamo tutti uguali




Le parole pronunciate sabato scorso dal Primo Ministro inglese David Cameron, all'indomani della conferenza  sulla sicurezza di Monaco, hanno scatenato una tempesta di  feroci polemiche in Gran Bretagna e non solo.
“Il multiculturalismo è fallito” ha dichiarato Cameron, ponendo immediatamente l’attenzione su quello che è stato il filo conduttore del suo discorso: il problema dell’integrazione dei cittadini musulmani. Apriti cielo: le prima dita puntate sono giunte dall’opposizione laburista e dalle associazioni musulmane, secondo cui il premier avrebbe avuto un approccio  “semplicistico” nei confronti della delicata questione. Sono seguite, a pioggia, le critiche provenienti da tutta la stampa britannica, da cui Cameron è stato tacciato perfino di razzismo.

Ciò che sembra aver maggiormente urtato la sensibilità della stampa inglese, tuttavia, sembra essere stata la sonora ramanzina (accompagnata da una non molto velata minaccia di tagliare i fondi) a quelle associazioni che "cercando di presentarsi come un ponte di accesso alle comunità musulmane vengono riempite di denaro pubblico, anche se non fanno nulla di concreto per combattere l'estremismo".
In realtà, leggendo il testo completo del discorso, risulta difficile capire come possa aver destato (e continui a destare anche in Italia) tutto questo scalpore, visto che, se considerato nell’insieme, non appare affatto "delirante" come è sembrato a tanta stampa. Anzi, si tratta di affermazioni tanto sensate da non apparire nemmeno, verrebbe da dire, così originali.
Dopo un lungo preambolo sull'importanza di distinguere tra l'islam moderato e le associazioni fondamentaliste, Cameron ha criticato tanto la destra (la quale, a suo giudizio, è solita fare di tutta l'erba un fascio) quanto la sinistra (la quale non fa che allungare la "lista delle lagnanze" e sostenere che "se solo i governi rispondessero alle loro rivendicazioni, gli attacchi terroristici si fermerebbero"). Sul problema dei diritti taglia corto: coloro che insistono per dare spazio alle rivendicazioni "ignorano il fatto che molti di quelli che sono stati condannati per terrorismo, in Gran Bretagna e nel resto del mondo, sono laureati e spesso appartengono alla classe media". Inoltre, incalza Cameron, coloro che accusano i leader mediorientali di governare senza essere stati eletti e  vedono nei regimi non democratici le condizioni che permettono la nascita e la proliferazione  degli estremisti, non vedono il problema reale. “Se il problema è la mancanza di democrazia – dice Cameron – perché molti di questi estremisti stanno in società libere e tolleranti?".
Il nocciolo della questione quindi, secondo il Premier britannico, va ricercato nella formazione di un’identità condivisa.  "Con la dottrina del multiculturalismo - ha dichiarato - abbiamo incoraggiato le diverse culture a vivere in modo separato, sia l'una rispetto all'altra sia rispetto a quella principale. Non siamo stati capaci di offrire una visione della società alla quale possano desiderare di appartenere”.  Un problema, dunque, di territorio comune, di identità unanimemente sentita che non si è venuta a creare anche a causa di un certo lassismo che è stato erroneamente fatto passare per relativismo etico. “Un esempio concreto? Non aver saputo affrontare in modo concreto la crudeltà del matrimonio coatto. Questa nostra indifferente tolleranza è servita soltanto a rafforzare l'impressione che non ci siano valori realmente condivisi. E questo lascia alcuni giovani musulmani con la sensazione di essere privi di radici".
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