martedì 22 febbraio 2011

Non facciamo finta di niente

Succedeva in Italia

Qualche verità scomoda



MILANO - Potrebbe esserci una svolta sulle cause dell'omicidio di Fausto Tinelli e Lorenzo «Iaio» Iannucci, avvenuto a Milano il 18 marzo 1978, due giorni dopo il rapimento di Aldo Moro. Danila Angeli, madre di Fausto, ora accusa i servizi segreti in un'intervista al programma di Radio 24 Italia in controluce che andrà in onda mercoledì 23 febbraio alle 13,30. La stessa ipotesi ventilata in un'intervista e Sky Tg24.

ARCHIVIAZIONE - L'inchiesta della magistratura non è arrivata ad accertare i responsabili dell'agguato contro due ragazzi diciottenni che frequentavano il centro sociale Leoncavallo. Il giudice Clementina Forleo, il 6 dicembre 2000, archiviò l'indagine con questa motivazione: «Pur in presenza dei significativi elementi indiziari a carico della destra eversiva e in particolare degli attuali indagati (Massimo Carminati, Claudio Bracci, Mario Corsi), appare evidente allo stato la non superabilità in giudizio del limite appunto indiziario di questi elementi, e ciò soprattutto per la natura de relato delle pur rilevanti dichiarazioni».
DURANTE IL RAPIMENTO MORO - «Dopo l'omicidio di mio figlio», racconta ora la madre di Tinelli, «ognuno offriva la sua versione. Chi parlò di regolamento di conti tra spacciatori di droga, oppure una faida tra gruppi della sinistra extraparlamentare. Negli anni ho riannodato i fili della memoria, i pezzi di un piccolo mosaico che mi ha permesso di raggiungere la vera verità che io conosco. Mio figlio è stato vittima di un commando di killer giunti da Roma a Milano, nel pieno del rapimento di Aldo Moro, in una città blindata da forze dell'ordine. Un omicidio su commissione di uomini dei servizi segreti. Gli apparati dello Stato avevano affittato un appartamento al terzo piano del mio palazzo, in via Monte Nevoso 9, esattamente davanti all'appartamento in cui risiedevano appartenenti alle Brigate Rosse, responsabili del rapimento Moro, dove vennero rinvenuti i memoriali del presidente della Democrazia cristiana».
RACCONTO - Danila Tinelli entra quindi nei particolari della sua testimonianza. «Prima del rapimento Moro e dell'omicidio di mio figlio, tra la fine del '77 e l'inizio del '78, la famiglia che occupava l'appartamento al terzo piano del mio palazzo venne mandata via d'urgenza con uno sfratto esecutivo. La casa era rimasta vuota per qualche settimana. A un certo punto la portinaia dello stabile, mentre puliva al terzo piano, vide alcune persone entrare nell'appartamento, si agitò e me ne parlò. E da allora ho cominciato a sentire rumori sulle scale specie di notte, fino a vedere attraverso lo spioncino persone che andavano al terzo piano con strani congegni, apparecchi fotografici. Nessuno, oltre a me, si è domandato cosa stessero facendo quelle persone. Ho messo in relazione la presenza di quelle persone con alcuni fatti strani avvenuti prima dell'omicidio. Una ragazza venne a cercare mio figlio a casa mia. Quando la descrissi, mio figlio non la riconobbe come un'amica. Eravamo spiati, controllati, almeno due mesi prima».

MAI INTERROGATA - Perché in tutti questi anni gli investigatori non hanno interrogato la signora Danila Tinelli? «Nessuno mi ha mai interrogata. Fausto e Iaio sono come un segreto di Stato... un depistaggio. Hanno scelto mio figlio perché abitava in via Monte Nevoso dove era in corso un'operazione coperta dei servizi, qualcosa che non doveva emergere». (fonte: Agi)

domenica 13 febbraio 2011

La dittatura del niente

Avere un pò di tempo, ogni tanto, per poter riflettere su ciò che  accade attorno , è sicuramente tanto una fortuna, quanto un’abilità. Ed è anche l’intento che si prefissa questo blog: da una parte raccogliere notizie che vengono dal mondo, e dall’altra riuscire a reinterpretarle e a farle nostre, dando il nostro punto di vista su ciò che accade. Certo, magari non sarà la verità assoluta, ma sicuramente sono parole scritte senza ipocrisia.

In questi giorni, date le note vicende politiche (o forse, sarebbe più opportuno, personali), mi è capitato di riflettere sul significato vero della libertà di stampa. Il caso ha voluto che, leggendo alcune testate di giornali nazionali, mi soffermassi a riflettere sul perchè, ad oggi, la notizia più importante non è quella che riguarda le situazioni reali del paese, ma quella del gossip e della notiziola da quattro soldi. Ora, a prescindere da quali siano le inclinazioni e sensibilità soggettive, credo sia necessario riflettere sull’importanza fondamentale che ha la parola scritta, nel caso specifico dei giornali, riscoprendo anche storicamente per quale motivo fosse nata, soffermandomi sul ragionamento che tra poco vi mostrerò.
Storicamente, la nascita della scrittura ha segnato la divaricazione tra preistoria e storia: tale teoria è stata formulata da grandi storici e, ad oggi, è quella imperante. La storia dell’umanità è contata quindi dalla nascita della scrittura. E da quel momento, la parola scritta ha avuto sempre maggiore importanza. Penso ai grandi della letteratura latina, greca, “grandi” perchè passati alla storia, a differenza di molti che vivevano in quei tempi. Ho sempre pensato che un libro di Cicerone, tanto per citarne qualcuno, grande maestro di oratoria, valesse migliaia di libri scritti oggi, nel periodo della cosidetta “arte contemporanea”, che più che “contemporanea” mi sembra più vecchia dell’alba dei tempi. La volontà con cui i grandi scrittori classici scrivevano libri era quella di puntare ad essere qualcosa di glorioso, di eterno, tentando di regalare all’umanità esempi positivi per l’avvenire da cui poter attingere, e molto spesso anche motivo d’orgoglio per la loro gente. Penso anche più recentemente alla perfezione stilistica raggiunta ad ogni costo da Dante o Boccaccio. Credo anche che ci sia un motivo se tra tutte le persone che vivevano in quei tempi, solo pochi sono passati alla storia. Credo, allo stesso modo, che la responsabilità li faceva tremare di fronte all’idea che un loro libro potesse avere pecche di scrittura, senso, ortografia. L’obiettivo era la perfezione, la non banalità, non scontatezza. Ciò che ricercavano era la gloria eterna.
Nel nostro secolo, il secolo delle chiacchiere inutili, della viltà dell’uomo che non ha più coraggio di scegliere ciò che è giusto, che non vuole più accogliere su di sè responsabilità troppo grandi, la scrittura è diventata un passatempo. Anzi, peggio: è diventato strumento di guadagno. Questo penso. Penso che coloro che scrivono ad oggi, non abbiano la volontà di rimanere eterni, di scrivere la storia, ma solamente di riempire le loro tasche. Non credo sia un’ impressione soggettiva, sono i fatti che lo documentano. Ogni giorno escono centinaia di libri nuovi: ma quante cazzate potranno esserci scritte? Ma quante persone inutili si saranno sentite utili nello scrivere qualcosa che non fosse nemmeno lontanamente nelle loro competenze? Penso a Saviano, divenuto eroe/simbolo solamente per aver riportato su un libro delle notizie che già esistevano, e contemporaneamente penso anche a come superficialmente ci soffermamiamo solamente sulle apparenze, non arrivando col pensiero a quelle migliaia di persone che quotidianmanete, con coraggio ed umiltà, lavorano per lasciare qualcosa di migliore a quelli che verranno nella lotta contro la mafia. A Saviano la laurea ad honorem e gli stessi riconoscimenti dati a Paolo Borsellino. Non è questo, già di per sè, un ossimoro?
Tornando a noi, per questo penso che nessuno dei grandi scrittori di oggi sente più su di sè delle grandi responsabilità.
I giornali parlano solo di gossip, nelle prime pagine non si parla di altro. Per non parlare dei tg, che si divertono a dipingere la realtà per quello che non è, rappresentando, in quei 20 minuti, un mondo di ladri, assassini e  carogne: roba che dopo vent’anni di soli tg si è costretti ad uscire con un giubbotto antiproiettile e scudo anti-atomico.
E non me ne vogliano i moralisti benpensanti se credo che la “troppa” libertà implichi il non averne nessuna. Perchè è chiaro che se hai acqua corrente a volontà, metà la usi e metà la butti. Penso, che la libertà di stampa sia diventata talmente ampia, che non porti a nulla di buono, costruttivo. E’ come se non esistesse, imperando il nulla assoluto. E per questo, non credo sia possibile poter dire che se non ci fosse la libertà di stampa ci sarebbe allora una dittatura, perchè altrimenti lo stesso si potrebbe dire della troppa libertà di stampa, che io considero al pari una dittatura: la dittatura del niente!
E’ chiaro, non voglio quì affermare anch’io un punto di rottura con la realtà. Viene da sè che esistono anche esempi positivi di giornalismo. Ma questi sono talmente rari, talmente “inutili” agli occhi di tutti, che gli stessi che si sentono responsabili sono trascinati dal fiume del nulla e sono costretti, forse sbagliano ma non sta a me giudicare, ad uniformarsi a ciò che richiede il mercato.
La soluzione, allora, non sono i controlli da parte dello stato, o peggio ancora di un governo. Nessuno tanto scemo quanto ingenuo farebbe una richiesta del genere. Il mio appello si rivolge a loro in prima persona, agli scrittori di libri e giornalisti, affinchè siano liberi, ma liberi veramente.
Liberi dal bisogno economico, dal bisogno di scrivere cazzate per poter vendere di più, liberi nel mondo nel loro senso di responsabilità. Chiedo che coloro che scrivono abbiano la consapevolezza e la volontà di voler scrivere per essere grandi, eterni. Spero che qualcuno tra voi, scrittori veri, ascolterà queste parole che, pur essendo scritte con semplicità, vogliono essere eterne ed universali.

mercoledì 9 febbraio 2011

IO MI CHIAMO PAOLO DI NELLA

È strano morire ventenni. Quando si è appena concluso lo sfasamento dell’adolescenza, ma è ancora troppo presto per avere la stabilità degli uomini, nell’ottica adulta. A ventanni si cerca ancora di costruire la propria identità sociale e psicologica, è l’età in cui si cercano i nuovi appoggi ideologici, pubblici, universali, associativi, cui aggrapparsi, dopo aver distrutto i precedenti che in fin dei conti non sono mai appartenuti a te, ma a chi ti ha messo al mondo. Avevo 20 anni quando ho lasciato l’Italia dei primi Anni Ottanta. L’ho fatto in silenzio, nella pace del sonno, e con il cranio fracassato.
Sono romano, aderente al Fronte della Gioventù. La notte del 2 febbraio 1983 affiggevo con Daniela alcuni manifesti che incitavano alla protesta per l’esproprio di Villa Chigi. Arrivato nello spartitraffico di Piazza Gondar, ho fatto un solo errore: ho dato le spalle a due ragazzi che alle 24.45 aspettavano l’autobus… Ma l’autobus a quell’ora mica passava… Il rumore di passi veloci alle mie spalle, una corsa forse… Un gran dolore alla testa, tanto calore, lo stordimento forte, pesante, insistente… Come un grande coccio di vetro piantato sul capo. Cammino verso l’auto dove Daniela a bocca aperta aveva visto tutto, parliamo un po’. «C’è da pulire la ferita», fa lei scossa. Il sangue defluisce, cerco di fare quello che posso alla fontanella. Poi la decisione di tornare a casa. La ferita fa male, mi lamento, mamma e papà sentono.
Lì, scivolo via dalla vita. Sguscio in un riposo innaturale, mentre mamma chiama l’ambulanza e piange. Papà mi chiama, cerca di riportami da lui, mi prende la mano, la scuote. Ma è troppo tardi, sono già lontano. Lo chiamano ‘coma’. Io sono finito nel ‘coma’, così dicono i dottori ai miei genitori, che dicono anche che l’indomani mattina mi operano. Sono nudo nella sala operatoria e m’hanno rasato i capelli: ho due ematomi e un tratto di cranio fratturato. Chi è stato? La domanda viene fatta a Daniela che è l’unica ad aver visto tutto quello che mi è successo. Il dottor Marchionne, che è il dirigente della Digos romana che si occupa del caso, del mio caso, però sembra più interessato a che facevamo noi nel Fronte della Gioventù: vuole i nomi di chi c’era dentro, vuol sapere che ci dicevamo, quali erano i rapporti fra i noi e i dirigenti… Lei risponde a tutto, poi d’un tratto Marchionne esclama: «Faida interna!». Che vuol dire? Che a colpirmi è stato qualcuno che si sedeva accanto a me alle riunioni del Fronte? Ma che dice? Perché? È impossibile.

Il Presidente della Repubblica viene a trovarmi all’ospedale, mi sfiora la mano. Lo fa come un padre, dicono che abbia un caratteraccio, non c’ho mai creduto. Poi dopo 7 giorni di ‘coma’ io muoio. A Dio, gli ci son voluti 7 giorni per creare il mondo. A me 7 per lasciarlo. I miei amici mi stanno vicino, fanno striscioni con il mio nome. Qualcuno li strappa, qualcuno scrive ‘sono stato io’ sui muri. Ci sono perquisizioni nelle case dei Collettivi Autonomi di Valmelaina e dell’Africano. Un nome torna sempre: Corrado Quarra. Daniela dice che è lui, l’ha riconosciuto. Ha aggredito anche altri ragazzi con la spranga. Daniela poi dà la descrizione dell’altro ragazzo. Qualcuno dice che l’identikit descrive Luca Baldassarre. Daniela in un confronto all’americana indica un ragazzo che pensa sia Baldassarre. Marchionne ride: «Vedi, il giovane da te riconosciuto non è Baldassarre, ma un amico scelto appositamente per la grande somiglianza». Il giudice istruttore Calabria, che pure si occupava dell’indagine si fa beffe di Daniela: «Se hai sbagliato il secondo riconoscimento puoi anche aver sbagliato il primo». Quarra viene scarcerato, lo si proscioglie dalle accuse, poco prima di Capodanno, così ha il tempo di festeggiarlo con la sua famiglia. Io, invece, qui mi sento solo. M’hanno rubato i Capodanni, m’hanno rubato la mia mamma e il mio papà… Il mio nome? Io mi chiamo Paolo Di Nella e sono morto in silenzio, nella pace del sonno, e con il cranio fracassato.