giovedì 16 dicembre 2010

"L'occidentale" ed amato kosovo...

MILANO - Il capo del governo del Kosovo, Hashim Thaci, sarebbe il boss di un racket che ha iniziato le sue attività criminali nel corso della guerra del Kosovo proseguendole nel decennio successivo. Secondo il rapporto stilato dalla commissione d’inchiesta del Consiglio d’Europa sul crimine organizzato il premier kosovaro sarebbe a capo di un gruppo mafioso albanese responsabile del traffico di armi, di droga e di organi umani nell’Europa dell’Est. Il rapporto, che conclude due anni di indagini e cita fra le sue fonti l’Fbi e altri servizi di intelligence, scrive che Thaci ha esercitato un «controllo violento» nell’ultimo decennio sul commercio di eroina. Uomini della sua cerchia sono accusati di aver rapito uomini e donne serbe al confine con l’Albania per ucciderli e privarli dei reni, venduti poi al mercato nero. Nel suo rapporto, lo svizzero Dick Marty - deputato elvetico all'Assemblea Parlamentare del Consiglio ed ex procuratore del Canton Ticino ora relatore per i diritti umani e le questioni giuridiche del Consiglio d'Europa - afferma che gli indipendentisti kosovari dell'Uck hanno gestito alla fine degli anni Novanta un traffico di organi ai danni di prigionieri serbi. Secondo Marty, tale traffico era controllato da una formazione dell'Uck denomonata «Gruppo di Drenica», capeggiata dall'attuale primo ministro kosovaro, Hashim Thaci. E vi sarebbero «numerosi indizi» che «gli organi venissero estratti da prigionieri di una clinica in territorio albanese, nei pressi di Fushe-Kruje (20 km a nord di Tirana)».


RENI, EROINA E ARMI
- Nel testo, disponibile su internet, si ricorda che del traffico di organi espiantati a prigionieri di guerra serbi fa menzione Carla Del Ponte, l'ex-procuratore del Tribunale penale internazionale per la ex-Jugoslavia, nel suo libro pubblicato in prima battuta in Italia La caccia - Io e i criminali di guerra. Tragico dubbio che diventa protagonista di  The Empty House, documentario prodotto da PeaceReporter in cui, a partire dalla Casa Gialla (dove secondo le accuse si espiantavano gli organi), si denuncia il dramma delle persone scomparse durante la guerra in Kosovo. Una storia, raccontata in multimediale, che si concentra appunto sul dubbio che alcune persone scomparse siano state vittime di un traffico di organi. Un secondo e ultimo riferimento all'Italia fatto dal rapporto riguarda «analisti» del Sismi, il servizio segreto militare, e dell'intelligence tedesca, britannica, greca e della Nato che definirebbero «abitualmente» l'attuale premier kosovaro Hashim Thaci come «il più pericoloso tra i padrini della mala dell'Uck». I responsabili di questi traffici sarebbero i leader di etnia albanese dell'Esercito di liberazione del Kosovo (Uck). Secondo le testimonianze raccolte dal rapporto del Consiglio d'Europa, i prigionieri di guerra serbi e altri civili venivano uccisi con un colpo di arma da fuoco alla testa. Gli affari si facevano soprattutto con reni, venduti a cliniche private straniere. Un ruolo fondamentale avrebbe avuto in tutta la vicenda Shaip Muja, anch'egli ex comandante dell'Uck e ancora oggi stretto collaboratore politico di Thaci, responsabile delle questioni sanitarie.
LO SDEGNO DI PRISTINA
- A Pristina, dove Thaci con il suo Partito democratico del Kosovo ha vinto le elezioni legislative anticipate di domenica scorsa, il governo ha smentito seccamente il contenuto del rapporto di Dick Marty. Respingendo le accuse, una nota governativa lo ha definito «senza fondamento». Si tratterebbe di «invenzioni» finalizzate a coprire «di obbrobrio l'Uck e i suoi dirigenti». In una nota pubblicata nella notte si legge: «È evidente che qualcuno vuol fare del male al primo ministro Thaci dopo che i cittadini del Kosovo gli hanno dato chiaramente la loro fiducia per continuare il programma di sviluppo del Paese». Il governo ha quindi annunciato l'intenzione di adottare «tutte le misure possibili e necessarie per rispondere alle invenzioni e alle calunnie di Dick Marty, ivi comprese misure giudiziarie e politiche». In un comunicato il premier di Pristina preannuncia «tutti i passi necessari, compreso il ricorso a mezzi legali e politici» nei confronti dell'autore della relazione, Dick Marty.
NEMICI DELL'INDIPENDENZA - «Faremo squalificare le calunnie del signor Marty», ammonisce il comunicato ufficiale, in cui si addebitano le accuse contenute nel rapporto ai «nemici dell'indipendenza» dell'ex regione serba a maggioranza albanese. «I cittadini kosovari e l'opinione pubblica internazionale nel suo complesso non credono alle diffamazioni messe in circolazione da chi si oppone all'indipendenza e alla sovranità del nostro Paese», si afferma, «e non permetteranno in alcun modo che certi demagoghi macchino la limpida lotta dell'Esercito di Liberazione del Kosovo e il sacrificio di tutti i cittadini della nostra patria». L'Esercito di Liberazione o Kla, di cui Thaci era comandante, sarebbe servito da copertura per gli affari illeciti da questi portati avanti prima, durante e dopo la guerra. Il comunicato governativo si conclude con un appello a tutti i 47 Stati membri del Consiglio d'Europa, ai quali mercoledì a Parigi verrà presentato il Rapporto, affinchè «si oppongano con forza a questo documento diffamatorio».
IL RICONOSCIMENTO - Il Pdk (Partito Democratico del Kosovo) guidato da Thaci, pur in calo di consensi, ha ottenuto il maggior numero di voti nelle elezioni anticipate di domenica scorsa nell'ex regione serba a maggioranza albanese. Per quanto difficile appaia la formazione di un nuovo esecutivo di coalizione a Pristina, l'incarico dovrebbe essere riconferito a Thaci e, una volta formata la compagine, si ripresenterà la questione dei negoziati con la Serbia, che continua a non riconoscere l'indipendenza kosovara, proclamata unilateralmente nel febbraio 2008.
LA SODDISFAZIONE DI BELGRADO - Dal canto suo, Belgrado ha espresso grande soddisfazione per il Rapporto del Consiglio d'Europa sul presunto traffico di organi umani ai danni di cittadini serbi. Tale rapporto, ha detto il viceprocuratore serbo per i crimini di guerra, Bruno Vekaric, «è una grande vittoria della Serbia nella lotta per la verità e la giustizia». «Grazie all'aiuto del presidente, Boris Tadic, e agli sforzi continui degli organi giudiziari serbi, abbiamo conseguito la vittoria e abbiamo restituito la speranza alle famiglie delle persone rapite o dei dispersi», ha aggiunto Vekaric auspicando che la pubblicazione del rapporto del Consiglio d'Europa, «estremamente positivo», consentirà l'apertura di numerose inchieste sui traffici di organi in Kosovo e Albania, dove le autorità giudiziarie hanno ignorato per anni gli appelli a far luce su tale problema.
I DUBBI DI MOSCA - In visita ufficiale a Mosca, il ministro degli esteri serbo Vuk Jeremic ha messo in dubbio che vi sia un futuro politico per Hashim Thaci. Secondo Jeremic il documento rivelerebbe «la terribile realtà» kosovara: «È un segnale che mostra come sia ormai tempo per il mondo civilizzato di smetterla di voltarle le spalle», ha detto. «Questo rapporto svela che cosa è il Kosovo, e chi è che lo guida». Dello stesso avviso di Jeremic è l'omologo russo Serghei Lavrov, il cui Paese parimenti non riconosce il Kosovo come Stato sovrano. Lavrov ha affermato di essere «molto allarmato» per quanto emerge dal rapporto Marty che, ha sottolineato, «non può restare secretato» poiché «tutti dobbiamo assicurare che gli sia data la più ampia diffusione possibile». Il capo della diplomazia russa ha quindi ribadito la posizione di Mosca, che si rifà ancora alla risoluzione adottata nel 1999 dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, in cui si faceva del Kosovo una sorta di area neutrale sotto l'amministrazione del Palazzo di Vetro. «Noi», ha affermato ancora Lavrov, «sosteniamo la necessità di un dialogo diretto tra le autorità di Belgrado e quelle di Pristina, soltanto nel cui ambito è possibile trovare una soluzione a lungo termine per il Kosovo, fondata su un reale compromesso accettabile reciprocamente da ambedue le parti. In tale processo», ha ammonito, «qualsiasi intervento straniero va accuratamente valutato e soppesato».
Da corriere.it

mercoledì 15 dicembre 2010

Rivelati i motivi del mancato Nobel a Pound

Roma, 22 giu. (Adnkronos) - Niente Premio Nobel per la Letteratura a Ezra Pound (1885-1972) perché fu compromesso con il regime fascista. Il poeta statunitense - che visse per molti anni in Italia, ammirò Benito Mussolini e morì a Venezia - fu candidato nel 1959 al prestigioso riconoscimento dallo scrittore Johannes Edfelt nella sua veste di presidente del Pen Club di Svezia. Ma la Commissione Nobel non gradì quel nome 'pesante', tanto che il suo presidente Anders Osterling, si sbarazzò di Pound osservando come il candidato, pur non trovandosi più nelle condizioni di recluso in un manicomio americano dopo la condanna per collaborazionismo fascista, si fosse tuttavia reso responsabile, nella sua opera, della propagazione ''di idee che sono decisamente in contrasto con lo spirito del Premio Nobel''.

A rivelare la bocciatura di Pound è un articolo del professore Enrico Tiozzo, docente di letteratura italiana all'Università di Goteborg, pubblicato sul nuovo fascicolo della rivista 'Belfagor', il quale ha potuto visionare il resoconto finale inedito della riunione della Commissione Nobel del 14 settembre 1959 grazie ad un permesso del segretario permanente dell'Accademia di Svezia.

Per le vicende relative al Nobel del 1959, a sorpresa vinto dal poeta Salvatore Quasimodo, la documentazione dell'archivio privato dell'Accademia Svedese è stata resa accessibile solo dal 1 gennaio scorso. In quella stessa riunione in cui fu escluso Pound, scrive Tiozzo, furono giubilati anche lo scrittore britannico Edward Morgan Forster in due righe per la 'grave età' (l'autore di 'Passaggio in India' e 'Camera con vista' era allora ottantenne ma sarebbe vissuto fino al 1970) e lo scrittore francese André Malraux, candidato, sostenne Osterling, ''tra i più interessanti, ma purtroppo condizionato dall'essersi lasciato alle spalle la letteratura d'invenzione''.

venerdì 3 dicembre 2010

La gente come noi non molla mai


"Schiavo è colui che aspetta qualcuno che venga a liberarlo" Non mollare Liu!

PECHINO - A una settimana dalla cerimonia di consegna del premio Nobel per la pace, Liu Xiaobo ha detto no alla libertà. Il dissidente cinese, condannato a undici anni di prigione per "incitamento alla sovversione", ha rifiutato la scarcerazione e l'espulsione immediata dalla Cina in cambio di una "confessione".

La proposta del governo di Pechino è stata rivelata ieri dall'avvocato del leader di Charta 08. "Liu Xiaobo - ha detto Shang Baojun - accetterà solo il rilascio senza condizioni". Le autorità cinesi, decise a minimizzare l'indignazione internazionale, avevano tentato in extremis di avviare una trattativa riservata con il protagonista delle proteste del 1989 in piazza Tiananmen. L'offerta è stata quella che negli ultimi anni ha consentito a centinaia di attivisti per la democrazia di andare in esilio: un passaporto di sola uscita con il visto per gli Usa, o per uno dei Paesi Ue. "Liu Xiaobo ha rifiutato - ha detto il suo legale - anche per non abbandonare i suoi genitori durante la vecchiaia".

Il clamoroso no di Liu Xiaobo e di sua moglie Liu Xia, costretta agli arresti domiciliari dal giorno dell'annuncio del Nobel, è lo schiaffo estremo al partito comunista cinese e fa risalire al massimo la tensione in vista della cerimonia del 10 dicembre. Sul palco di Oslo, per la prima volta in oltre un secolo, al posto del premiato sarà esposta una sedia vuota. Questa rappresentazione shock, secondo il comitato del Nobel e i dissidenti cinesi, "dovrà
richiamare l'attenzione del mondo sulla situazione dei diritti umani nella seconda potenza economica del pianeta".

A ritirare il premio, mentre Liu Xiaobo sarà rinchiuso in una cella a cinquemila chilometri di distanza, sarà infine il dissidente Yang Jianli. Amico di Xiaobo, compagno di proteste nel 1989, esiliato negli Stati Uniti e docente all'universtà di Harvard, è stato incaricato via Twitter da Liu Xia. La moglie del Nobel aveva rivolto un appello a 143 intellettuali cinesi, invitandoli a raggiungere Oslo. La polizia di Pechino nelle ultime settimane ha però effettuato centinaia di arresti. Famigliari e amici di Liu Xiaobo sono stati isolati, sono scomparsi, oppure sono stati bloccati negli aeroporti e alla frontiera. "A Oslo - ha detto Yang Jianli - aggiungeremo una sedia vuota anche per Liu Xia. Questa assenza urlerà più di ogni parola e contribuirà a presentare l'intero movimento democratico cinese, che ama la sua patria".

Su richiesta dei coniugi agli arresti, Yang Jianli e gli attivisti che riusciranno a raggiungere Oslo chiederanno a Pechino "di liberare immediatamente Liu Xiaobo e sua moglie". In Norvegia venerdì prossimo sono attesi centinaia di sostenitori dei diritti umani, tutti esuli, che protesteranno davanti all'ambasciata cinese. Le manifestazioni però sono già iniziate. Vincent Huang, artista cinese riparato a Taiwan, ha bloccato ieri il traffico di Londra con una "performance di denuncia". Un dissidente cinese, bendato e imbavagliato, ha sfilato per le vie del centro su un carro trainato da buoi, secondo la tradizione delle condanne all'onta pubblica dell'epoca imperiale. Pechino ha reagito con una nuova retata. Tra i fermati anche lo scrittore Xie Chaoping e l'economista Mao Yushi, in partenza per un convegno internazionale a Singapore. Un portavoce del ministero degli esteri è tornato inoltre a minacciare la Norvegia. "Sarà difficile - ha dichiarato Jiang Yu - mantenere relazioni amichevoli, come in passato". Secondo Pechino, il governo di Oslo è colpevole di "aver espresso sostegno al Nobel per la pace, assegnato ad un criminale cinese condannato da un tribunale, compiendo una flagrante sfida e una grossa interferenza".

Sono 36 le nazioni, tra cui l'Italia, che sfideranno la vendetta cinese inviando il proprio ambasciatore alla cerimonia del premio. Tra i presenti anche la speaker della Camera Usa, Nancy Pelosi. Una scelta delicata, nella fase più critica del confronto Cina-Stati Uniti e alla vigilia del viaggio di gennaio di Hu Jintao a Washington. 

Da larepubblica.it